Gli amministratori indipendenti: compiti e ruoli all’ingresso di nuovi attori all’interno del mercato finanziario

Negli ultimi anni stiamo assistendo sia alla nascita di una nuova varietà di società (pensiamo ad esempio alle cosiddette FinTech quali Equity Crowdfunding, Peers to Peers Lending, Mobile Payments, Trading Platform, etc) che sta rivoluzionando il settore finanziario, e soprattutto, forse per la prima volta nella storia, al dirompente (disruption) ingresso di nuovi attori, in molti casi provenienti da settori completamente differenti da quello loro tipico (pensiamo a Google nel settore automobilistico), che, grazie anche allo sviluppo delle nuove tecnologie, hanno in maniera esponenziale avuto un successo inatteso e in un brevissimo periodo di tempo. L’avvento delle nuove tecnologie ha però interessato anche coloro che, pur restando nella propria areadi appartenenza, hanno, grazie a manager capaci di cogliere e sfruttare le potenzialità, potuto svilupparsi, rendere più efficiente la propria attività e al contempo migliorare la propria offerta alla clientela (si pensi alle numerose “app”, anche nello stesso mondo bancario e finanziario, in continua creazione e sviluppo che consentono un’interazione società-cliente sempre più veloce ed immediata). In questo contesto totalmente nuovo e in continua e veloce evoluzione vi è un fattore che svolge un ruolo trainante, da cui dunque non si può prescindere, ossia il management delle società o, meglio, in termini più generali la governance delle società.
Un’indagine condotta a livello internazionale sui sistemi di governo societario degli intermediari più colpiti dalla crisi2 ha infatti rilevato una serie di debolezze, rappresentate, principalmente,

(i) da consigli di amministrazione carenti sul piano della professionalità, non in grado di fissare ex ante chiari obiettivi di rischio e di valutare ex post l’effettiva situazione dell’intermediario,
(ii) da amministratori non esecutivi scarsamente informati e poco attivi nella funzione di controllo; e
(iii) da figure che egemonizzano il processo decisionale;
lacune tutte che si sono riflesse sugli assetti organizzativi e di monitoraggio, creando sistemi di gestione e controllo dei rischi frammentati e incompleti, flussi informativi poco tempestivi ed affidabili, nonché, nel complesso, una ridotta funzionalità dell’organo amministrativo.
Un buon sistema di governo societario ed efficaci assetti organizzativi, come la stessa Banca d’Italia ha precisato3, costituiscono dunque una condizione essenziale per il perseguimento degli obiettivi aziendali: oltre a rispondere agli interessi dell’impresa assicurano anche condizioni di sana e prudente gestione.
Analoga posizione è rinvenibile, a livello transnazionale, nel Codice di
I.Corporate Governance anglosassone (4), ove è precisato che “the purpose of corporate governance is to facilitate effective, entrepreneurial and prudent management that can deliver the longterm success of the company” e “…principles of all good governance: accountability, transparency, probity and focus on the sustainable success of an entity over the long term”. Lo stesso Chief Executive della FCA5, nel definire l’obiettivo dell’Autorità di Vigilanza inglese, ha precisato che l’approccio seguito è quello di garantire che “firms are managed in a way that reflects good governance and promotes the right culture and behaviours.”
Si è dunque venuta ad affermare un’attenzione sempre più crescente al governo interno delle imprese, tradottasi in interventi normativi (prevalentemente, per quanto riguarda l’Italia, di natura secondaria) che, anche a diffusione internazionale, hanno disciplinato il sistema di gestione degli intermediari, con regole organiche e puntuali (6) , consolidatesi negli anni.

Nell’ambito del corpo di disposizioni inerenti il sistema organizzativo a cui ci si deve attenere, peraltro di facile e veloce individuazione all’interno della normativa di settore, rilevano i principi generali di governo societario, rappresentati, inter alia, dall’obbligo di definire una ripartizione di compiti sia tra gli organi aziendali che all’interno degli stessi – tale da assicurare il bilanciamento dei poteri e un’efficace e costruttiva dialettica – oltre che dal dover assicurare una composizione degli organi predetti, per numero e professionalità, che consenta l’efficace assolvimento dei loro compiti.(7)
Da tutto ciò emerge quale elemento significativo l’elevata qualità del complessivo sistema di governance, nel quale poi il ruolo di rilievo è assunto dal Consiglio di Amministrazione (8), organo al quale non solo riferiscono tutte le funzioni aziendali, ma che, prima di tutto, come la disciplina primaria (civilistica) e secondaria (regolamentare) sanciscono, inter alia definisce l’assetto complessivo di governo e più in generale dell’intermediario, ne verifica la corretta attuazione, determina gli indirizzi e gli obiettivi aziendali strategici e verifica la loro attuazione, nonché definisce le politiche aziendali e quelle del sistema di gestione del rischio d’impresa (cfr. funzione di supervisione strategica) e altresì conduce l’operatività aziendale volta a realizzare le predette strategie e politiche (cfr. funzione di gestione).
Per svolgere al meglio e in maniera efficace tali compiti il Consiglio, come si diceva e come più ampiamente si vedrà nel prosieguo, deve dunque essere composto da soggetti con caratteristiche diverse, con capacità e competenze specifiche e differenti, esecutivi e non, oltre che indipendenti. Una composizione diversificata dell’organo societario con funzioni gestorie – comunque sempre proporzionata, in termini sia quantitativi che qualitativi, alle caratteristiche, dimensioni e complessità operativa dell’intermediario – consente infatti di ampliare le prospettive di analisi e proposta, nonché di avere efficaci dialettiche e confronti interni.
Merita in proposito di essere menzionata la recente comunicazione di Banca d’Italia, del luglio u.s., “Benchmark di diversity per il sistema bancario italiano”, nella quale l’Autorità ha nuovamente ribadito che “negli organi collegiali di vertice delle banche, la diversity – riferita a età, genere, provenienza geografica e background professionale – assicura processi decisionali efficaci basati su una costruttiva dialettica interna.” (9)
Ancora, la diversificazione – in termini sia di genere che di razza – all’interno dell’organo gestorio e, più in generale, una composizione dello stesso differenziata consente di avere quella dialettica interna – costruttiva e stimolante – essenziale all’effettivo funzionamento dell’organo medesimo.
Permette infatti di avere differenti approcci ed esperienze a disposizione, così da poter perseguire la strategia aziendale.
L’attenzione deve dunque essere rivolta a tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione, esecutivi e non, essendo anche questi ultimi compartecipi delle decisioni che vengono assunte ed essendo anche chiamati a svolgere un’importante funzione dialettica e di monitoraggio.
Guardando ancora una volta al panorama oltre confine, la FCA ha dato particolare rilievo alla figura del Senior Manager dal momento che “Having a narrow SMR (ndr Senior Manager Regime) will also allow the FCA to focus regulatory resources on those responsible for key business areas and board committees. We want those
senior individuals to be held accountable for the decisions they make and oversee. Tis is what people inside and outside the banking sector expect.” A ciò si aggiunge poi la figura dei Consiglieri non esecutivi – cd. NEDs (ndr Non Executive Directors) – i quali “play a vital role in providing challenge to and an independent oversight of the executive directors. Including all NEDs in the new regime would risk the unintended consequence of changing the whole nature of this vital role.”
Te NED roles that will be in scope of the SMR are:
• Chairman;
• Senior Independent Director;
• and the Chairs of the Risk, Audit, Remuneration and Nominations Committees.”
Molteplici sono dunque gli elementi di cui tener conto nella delineazione della composizione e del funzionamento dell’organo di gestione di una società, rappresentati non solo da quanto emerso dall’analisi empirica cui si faceva cenno e dai principi normativi citati, ma anche da quegli aspetti di sviluppo delineati da alcuni autori per una crescita dell’organo predetto e dunque un miglioramento, in termini di efficienza, della relativa attività (10). Cinque sono le aree di miglioramento che in proposito sarebbero state individuate, relative a

1) leadership, rappresentata dalla figura del presidente,
2) strategia, definita dal management e sottoposta poi all’approvazione dell’organo di gestione nella sua composizione collegiale,
3) rischi a cui la società è esposta, da valutarsi in senso ampio e non con riferimento solo a quelli di bilancio e finanziari,
4) sostenibilità, così da sviluppare e proteggere il valore per gli azionisti nel lungo termine, nonché
5) piano di successione del CEO.

Nell’ambito di tali aree, in particolare di quella inerente la strategia, è stato poi rilevato come la prassi in affermazione, adottata dai Consigli più efficaci ed innovativi, si caratterizzi per un ruolo attivo nella definizione del piano strategico svolto dai consiglieri che partecipano allo sviluppo delle strategie stesse, soprattutto di quelli indipendenti. A tale ultimo proposito, considerato quanto veniva menzionato all’inizio della disamina, un ruolo di rilievo viene e verrà sempre più assunto da quei consiglieri in grado di comprendere appieno e dunque sfruttare le innovazioni tecnologiche, peraltro in continua e veloce evoluzione. La digitalizzazione, si diceva, sta infatti spostando velocemente la competizione, anche e soprattutto in territori fino ad ora sconosciuti, rispetto ai quali, per quanto di interesse ai fini della presente analisi, il settore finanziario rimasto una sorta di isola felice, senza che venissero effettuati, salvo alcune eccezioni, importanti investimenti.
Considerato che, per molti intermediari, il rischio di essere spazzati fuori dal mercato è sempre più concreto, va da sé che i relativi organi gestori saranno chiamati a rivedere le proprie strategie con estrema rapidità e dunque la presenza di consiglieri esperti, dinamici e magari slegati dalla gestione vera e propria della società potrà essere un indubbio elemento di crescita e di competitività.
Il requisito dell’indipendenza sembra dunque assumere sempre più importanza nell’ambito di un assetto di governo societario ed organizzativo efficace, rispondente agli interessi dell’impresa e tale assicurare il perseguimento degli stessi, nonché, principio cardine che caratterizza ogni intermediario, le condizioni di sana e prudente gestione.
Ma in cosa consiste esattamente l’indipendenza degli amministratori?
Qual è il ruolo che tale tipologia di soggetti svolge nella governance societaria e l’interesse sociale che gli stessi perseguono?
Infine, è davvero efficiente la loro presenza all’interno degli organi amministrativi?

La figura dell’amministratore indipendente non ha dei veri e propri fondamenti nel nostro ordinamento societario: si tratta infatti di un istituto di derivazione anglosassone, segnatamente del diritto americano in primis, poi sviluppatosi nel nostro Paese contestualmente e in concomitanza con il tema degli amministratori di minoranza delle società quotate, senza che però sia mai stata dettata, almeno a livello di normativa primaria, la relativa disciplina. Non esiste dunque nel Codice Civile (11) nazionale una definizione di amministratore indipendente, che ne delinei i requisiti e/o i compiti, analoga a quella invece dettata con riferimento ai componenti del Collegio Sindacale (12).
Per individuare i contenuti del requisito di indipendenza di un membro di un Consiglio di Amministrazione occorre dunque guardare alle singole disposizioni regolamentari che trattano la materia (in ogni caso applicative di quelle di derivazione europea) ed anche ai codici di comportamento delle varie associazioni di categoria, oltre che, se possibile, agli orientamenti dottrinari (anche se non del tutto uniformi) affermatisi in materia.

In primo luogo indipendenza non coincide con non esecutività. Si assiste spesso ad un’assimilazione della figura dell’amministratore indipendente con quella dell’amministratore non esecutivo, ma si tratta di un passaggio improprio, soprattutto non biunivoco. Sebbene infatti, ai sensi del Codice di Autodisciplina delle società quotate, agli amministratori indipendenti non possano essere affidati ruoli esecutivi, non necessariamente un amministratore non esecutivo è anche indipendente (13). Non solo, ai sensi del predetto Codice è ammesso che membri del comitato esecutivo siano amministratori indipendenti, non essendo agli stessi attribuiti poteri individuali di gestione.
Conferma della non necessaria coincidenza tra le due fattispecie è rinvenibile anche nel già citato “the UK Corporate Governance Code” ove è precisato che, nel bilancio annuale, vengono indicati gli amministratori non esecutivi da considerarsi indipendenti e che, in generale, fatte salve le società di piccole dimensioni, almeno la metà dei componenti il Consiglio di Amministrazione, escluso il presidente, deve essere rappresentata da amministratori non esecutivi individuati quali indipendenti.
In secondo luogo si tende a replicare (erroneamente) per i Consiglieri gli stessi requisiti di indipendenza previsti per i componenti dell’organo di controllo, senza considerare che gli amministratori indipendenti sono comunque e sempre membri dell’organo amministrativo, a cui dunque competono compiti di amministrazione e non di controllo. Se proprio si volesse individuare nell’indipendenza di un amministratore un compito (anche) di vigilanza, o meglio di valutazione, si potrebbe dire che la valutazione degli amministratori indipendenti è di merito, sugli atti di gestione, distinta dunque da quella di legalità degli atti stessi, di competenza tipicamente del Collegio Sindacale. Non solo, se la valutazione degli amministratori (indipendenti) può essere preventiva, avendo riguardo allo sviluppo dell’attività sociale e dunque rivolta alla elaborazione di linee strategiche, e/o successiva, dunque attenta a considerare ex post i risultati gestionali, quella dell’organo di controllo è necessariamente ed esclusivamente rivolta al passato, consistendo, come ex lege stabilito, in un giudizio di conformità alla legge e allo statuto.
Cosa significa dunque indipendenza?

Dicevamo che non esiste nel nostro Codice Civile una definizione di indipendenza.
Indipendenza, analizzando quanto sancito dal Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana (14) e ancora prima dalla Raccomandazione n. 2005/162/CE (15) è una situazione di fatto – e non un giudizio di valore – intesa quale indipendenza di relazioni con la società, i suoi azionisti ed anche il suo management, così che possano sussistere un’indipendenza (ed autonomia) di giudizio e il libero apprezzamento dell’operato del management stesso.
Sicuramente dunque indipendenza, come sopra precisato, è non esecutività, dal momento che non si può esercitare la propria capacità critica se si devono giudicare i propri atti.

E proprio per tale motivo, come emerge dalla prassi, agli amministratori indipendenti compete normalmente la sovraintendenza del controllo interno della gestione, la delineazione delle strategie aziendali, dei piani industriali e finanziari, l’approvazione di operazioni rilevanti e con le parti correlate. Gli amministratori indipendenti non solo svolgono un’attività di controllo, nei termini sopra descritti, vigilando dunque con autonomia di giudizio sulla gestione sociale e contribuendo ad assicurare che essa sia svolta nell’interesse sociale e in modo coerente con gli obiettivi di sana e prudente gestione, ma concorrono anche nell’elaborazione (e nella verifica) delle strategie e delle operazioni di maggior rilievo.
A voler dunque individuare nello specifico i poteri e i compiti di un amministratore indipendente si può in primis affermare che tale soggetto non ha solo un mero ruolo di bilanciamento, di contropotere rispetto a chi, all’interno del Consiglio, si occupa della gestione, ma che è anche e soprattutto portatore di un valore aggiunto. Prima di tutto perché, in quanto non esecutivo e dunque non coinvolto nella gestione operativa, fornisce un giudizio autonomo e non condizionato sulle proposte di deliberazione, individuando anche, in quanto slegato da ogni tipo di interesse “extrasociale”, eventuali problemi e rischi. Grazie poi alle competenze (strategiche e/o tecniche) di cui lo stesso è in possesso, in quanto amministratore esterno, arricchisce la discussione consiliare, stimolando così il confronto di idee, il dibattito e l’approfondimento all’interno del Consiglio, garantendo in un certo senso che le decisioni siano assunte in modo informato ed istruito.
Se dunque si volessero individuare le attività tipiche svolte da un amministratore indipendente si potrebbero distinguere differenti livelli di “azione” relativi alle riunioni del Consiglio di Amministrazione, alla gestione sociale in generale e ad alcune attività gestionali nello specifico, fino a situazioni di (anche solo potenziale) confitto di interessi.
Un’analisi empirica porta ad identificare prima di tutto come tipiche la verifica della documentazione a supporto delle riunioni del Consiglio di Amministrazione, in particolare che la stessa sia adeguata e idonea a rendere edotti i consiglieri delle materie che verranno trattate e garantire così agli stessi una partecipazione efficace ai lavori consiliari, nonché che tale documentazione sia trasmessa secondo una tempistica adeguata all’importanza degli argomenti in agenda, così come che l’ordine del giorno sia analitico, dettagliato, chiaro ed esaustivo.
Sempre nell’ambito della gestione sociale al consigliere indipendente è spesso assegnato il compito di valutare il sistema dei poteri e delle deleghe, così da verificarne la corretta articolazione, il sistema dei flussi informativi, nonché il rispetto degli eventuali limiti.
A tale riguardo riteniamo opportuno segnalare che, a nostro avviso, la figura del presidente (16) è auspicabile sia ricoperta da un amministratore non solo non esecutivo, ma anche indipendente, così che possa essere garantita quella gestione dell’organo dallo stesso presieduto e anche il necessario supporto alla strategia e al funzionamento.
E’ frequente infine, anche per società non quotate, che il consigliere indipendente (partecipando anche quale membro di comitato interni all’uopo istituiti) sia chiamato a pronunciarsi in tema di remunerazioni, così come anche nell’ambito di operazioni straordinarie e di operazioni nelle quali vi siano situazioni di confitti di interessi.
A tale ultimo proposito, con ciò trovando conferma ulteriore la sempre maggiore importanza e anche imprescindibilità, in determinati contesti, della figura degli amministratori indipendenti, è da evidenziarsi il ruolo agli stessi attribuito dalla Consob nell’ambito di operazioni con parti correlate (17). Nel disegnare la procedura per il compimento delle operazioni predette è stato infatti previsto un ruolo specifico per gli amministratori indipendenti, con ruoli crescenti a seconda della rilevanza dell’operazione medesima (18).

E’ dunque di tutta evidenza che il Consigliere indipendente non sia una figura di minor rilievo rispetto agli altri componenti dell’organo di gestione e anzi che anche tale figura debba essere in possesso di professionalità ed autorevolezza, di adeguate conoscenze del settore in cui opera l’intermediario – sia in termini di business, di dinamiche del sistema economico-finanziario, della normativa di settore ed anche delle metodologie di gestione e di controllo dei rischi.
Solo così, lo si ribadisce nuovamente, potrà essere assicurato un elevato livello di dialettica interna all’organo a cui lo stesso appartiene e apportato un contributo di rilievo.
Analoghe considerazioni possono essere formulate se si osserva il panorama anglosassone, ove, come si diceva prima richiamando “Te UK Corporate Governance Code”, particolare attenzione viene posta alla figura degli amministratori indipendenti.
L’analisi fini qui condotta ci ha permesso di vedere come la normativa di settore stia dando sempre più rilievo alla figura dell’amministratore indipendente. Pur essendo ormai evidente la necessità che siano meglio definiti i ruoli e i compiti da assegnare a tale tipologia di soggetti, è indubbia l’importanza ed essenzialità via via crescenti che gli stessi stanno assumendo nel contesto nazionale. Le stesse considerazioni possono essere formulate anche con riferimento agli operatori esteri, comunitari, i quali non solo per la rilevanza europea della normativa primaria di riferimento, ma anche per prassi e tradizione sono abituati da tempo e con maggior incidenza a rapportarsi con la figura qui esaminata.
La dinamicità dei mercati finanziari, il potenziale ingresso in essi di nuovi operatori provenienti da settori della tecnologia, dei social network o da comunque da settori capaci di gestire le informazioni in maniera radicalmente nuova impongono nuovi modelli di business. In tale contesto molti intermediari saranno costretti a rivedere la propria governance, cercando anche competenze completamente nuove. Dopo aver assistito a una comprensibile e corretta implementazione di modelli di governance maggiormente improntati alla compliance e al risk management, sarà il momento di ritornare verso un maggior focus sul business. Ciò dovrà avvenire ricercando nuove competenze, caratterizzate da una forte flessibilità, multidisciplinarietà, apertura mentale ed esperienza transfrontaliera, il tutto senza perdere di vista l’evoluzione dei sistemi di controllo, che saranno chiamati ad un notevole sforzo di adattabilità al nuovo contesto.

Note

2 Si veda l’intervento “Doveri e responsabilità degli amministratori delle banche: il punto di vista dellaBanca d’Italia” di Carmelo Barbagallo – Capo del Dipartimento di Vigilanza Bancaria e Finanziaria Banca d’Italia – al Convegno ABI 26 marzo 2014 “L’impresa bancaria: i doveri e le responsabilità degli amministratori”.
3 Si rinvia alle Disposizioni di Vigilanza per le Banche (Circolare Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013), Parte Prima, Titolo IV, Capitolo I, Sezione.
4 Te UK Corporate Governance Code (September 2014).
5 La Financial Conduct Authority, ossia l’Autorità di Vigilanza inglese.
6 Si richiamano in proposito le disposizioni di cui alle Regolamento Congiunto Banca d’Italia Consob del 29 ottobre 2007 e successive modifiche ed integrazioni, le Disposizioni di Vigilanza per le banche, oltre che la direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (cd. “CRD IV”) e il Regolamento Delegato (UE) n. 231/2013 della Commissione del 19 dicembre 2012. Meritevole di attenzione ai fini della presente analisi è altresì la Raccomandazione della Commissione del 15 febbraio 2005 n. 2005/162/CE sul ruolo degli amministratori senza incarichi esecutivi o dei membri del consiglio di sorveglianza delle società quotate e sui comitati del consiglio d’amministrazione o di sorveglianza. Così pure il “the UK Corporate Governance Code” del settembre 2014.
7 Si vedano in proposito il primo comma dell’articolo 7 “Principi di governo societario” di cui al Regolamento Congiunto Banca d’Italia – Consob e le Sezioni III e IV, Capitolo I, Titolo IV, Parte Prima delle Disposizioni di Vigilanza per le Banche.
8 L’analisi si concentra sul sistema di governance più difuso, ossia quello tradizionale, articolato in Consiglio di Amministrazione e Collegio Sindacale. Le considerazioni che verranno formulate sono da intendersi valevoli anche per gli altri due possibili sistemi di corporate governance contemplati dal regime nazionale, ossia il dualistico ed il monistico.
9 La citata comunicazione evidenzia poi, con particolare riferimento alla diversity di genere, la scarsa presenza femminile all’interno degli organi amministrativi di banche, con riferimento sia alle fgure degli amministratori non esecutivi sia ai ruoli di amministratori esecutivi e di fgure apicali (quali anche il presidente e il direttore generale). E’ stata conseguentemente sollecitata, non senza considerazioni che non posso che essere, a parere di chi scrive, di carattere negativo, l’adozione, con il prossimo rinnovo delle cariche, di iniziative volte a favorire una maggior presenza femminile negli organi di vertice, in tutti i ruoli, almeno in misura pari al 20% o al 33% per le banche più grandi.
10 Si veda l’intervento “Consiglio d’amministrazione: cinque passi per farli crescere” di Carlo Corsi eEnzo De Angelis, in Corriere Economia 10 novembre 2012 pagina 8.
11 In realtà il Codice Civile parla di amministratori indipendenti, con riferimento alle società che adottano il sistema monistico, ossia a quelle società ove il controllo è esercitato da un comitato costituito all’interno dello stesso Consiglio di Amministrazione. Per tale tipologia di società l’articolo 2409-septiesdecies del Codice Civile prevede, al secondo comma, che almeno un terzo dei componenti il Consiglio sia in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci dall’articolo 2399, primo comma e, se lo statuto lo prevede, di quelli al riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati. 12 Si veda l’articolo 2399 del Codice Civile. La disposizione predetta indica i criteri di indipendenza in senso negativo, delineando ciò che non si deve essere per essere qualifcati indipendenti, ma non cosa si deve essere.
13 Sancisce infatti il Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana (l’ultima edizione è del luglio 2015) che “un numero adeguato di amministratori non esecutivi sono indipendenti…..
14 Si veda l’articolo 3 “Amministratori Indipendenti”.
15 Si veda il Considerando n. (18) ove è sancito che “……indipendenti, liberi cioè da confitti di interesse rilevanti. L’indipendenza è spesso intesa come assenza di stretti legami con i dirigenti, con gli azionisti di controllo e con la società stessa” ed anche l’articolo 13.1 “Indipendenza”, Sezione III “Proflo degli amministratori senza incarichi esecutivi o dei membri del consiglio di sorveglianza” ove è precisato che “un amministratore dovrebbe essere considerato indipendente soltanto se è libero da relazioni professionali, familiari o di altro genere con la società, il suo azionista di controllo o con i dirigenti di entrambi, che creino un confitto di interessi tale da poter infuenzare il suo giudizio”.
16 Si richiama in proposito l’articolo degli scriventi Massimo Paolo Gentili e Orietta Nava “La fgura del presidente e del segretario delle riunioni degli organi sociali all’interno degli operatori fnanziari: brevi cenni” pubblicato in Bancaria Editrice – Giugno 2012 n. 6, ove è stato precisato che per poter pertanto svolgere efcacemente tutte quelle funzioni che vengono attribuite al Presidente, lo stesso non deve avere alcun ruolo esecutivo né svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali (fatti salvi, in caso eccezionale, i compiti di supplente dei componenti esecutivi del CdA).
17 Si veda in proposito il regolamento in materia di operazioni con parti correlate di cui alla delibera Consob n. 17221/2010.
18 Se infatti per le operazioni cd. di minore rilevanza la procedura delineata è quella generale, meno complessa, che vede il coinvolgimento degli amministratori indipendenti, nell’ambito di un comitato composto da amministratori non esecutivi né correlati e in maggioranza indipendenti, il quale deve esprimere un parere non vincolante, nel caso di operazioni cd. di maggiore rilevanza, la procedura speciale prevede, in via ulteriore, il coinvolgimento degli amministratori indipendenti nelle trattative e il rilascio da parte degli stessi di un parere vincolante – per l’organo amministrativo – ai fini della delibera che questo deve assumere di compimento dell’operazione.

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