In un momento storico in cui la ricerca di diversificazione degli investimenti diviene un elemento cruciale per offrire al cliente migliori opportunità di rendimento, si distingue per novità e attrattività la possibilità di coinvolgere i clienti nell’investimento diretto nella struttura di capitale (capitale di rischio, di debito o ibridi) delle imprese. Si tratta, in particolare, di piccole/medie imprese prevalentemente italiane ritenute sottovalutate o con interessante potenziale di crescita e che, in alcuni casi, per dimensioni, non corrispondono al target dei fondi di private equity. I cosiddetti Club Deal si stanno dunque affiancando come opportunità complementare ai servizi di wealth management offerti dagli intermediari che, oltre a consentire l’accesso a tali investimenti, ne divengono direttamente (o tramite società costituite ad hoc) strutturatori e “gestori”.
Volendone offrire una definizione, un Club Deal può essere inteso come un veicolo costituito ad hoc (es. nella forma di srl) la cui sottoscrizione di ca- pitale viene offerta a potenziali investitori privati, tipicamente sofisticati e con elevate risorse finanziarie. Oltre che attraverso la sottoscrizione diretta del capitale sociale, il Club Deal può prevedere la sottoscrizione di un prestito obbligazionario convertibile in modo che l’obbligazionista possa procedere alla conversione solo in caso di condivisione circa l’investimento della società target. Per completezza, va segnato che i Club Deal sono spesso accumunati, confusi o affiancati con le SPAC (Special Purpose Acquisition Company). Il richiamo non è casuale.
Le SPAC infatti sono anch’esse veicoli istituiti per la raccolta di capitale da investire in imprese target tipicamente selezionate dai promotori dell’iniziativa. Fino ad individuazione della target e definizione delle modalità di investimento (c.d. business combination), la SPAC altro non è che un mero contenitore di cassa, pronta ad essere svincolata nel momento di definizione del relativo impiego sulla società target. Le SPAC, quotate in Italia sull’AIM di Borsa Italiana, hanno una durata non superiore a 24 mesi: questo il tempo concesso ai pro- motori per definire l’investimento da sottoporre alla valutazione degli azionisti/obbligazionisti della SPAC. Risulta dunque evidente che Club Deal e SPAC presentino molti punti in comune, soprattutto da un punto di vista di obiettivi di investimento.
Per l’investitore, tuttavia, va detto che, rispetto al Club Deal, le SPAC si presentano come investimento quotato e a durata limitata. Sia rispetto al Club Deal che alla SPAC deve essere prestata molta attenzione, soprattutto da parte degli intermediari/promotori.
Deve essere infatti ricordato che secondo quanto stabilito dalla Direttiva in materia di gestori alternativi (AIFMD) devono essere intesi quali gestori di FIA tutti i soggetti che “indipendentemente dal fatto che il fondo sia aperto o chiuso, prescindendo dalla forma giuridica dello stesso o dal fatto che il fondo sia o meno quotato, che raccolgono capitale da una pluralità di investitori allo scopo di investirlo a vantaggio di tali investitori in base a una determinata politica d’investimento”. Esiste dunque un potenziale rischio di riqualificazione dell’attività dell’intermediario/promotore verso i potenziali investitori quale attività di gestione collettiva.
Un rischio che va attentamente valutato e gestito attraverso la previsione di presidi di natura contrattuale e statutaria che rendano chiaro verso gli investitori e le Autorità di Vigilanza il ruolo di ciascun soggetto coinvolto.
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