Con la MiFID II il cliente saprà tutto, anzi, di più. Mediamente oltre cinquanta pagine a sua disposizione per cogliere, se lette, ogni sfumatura dell’intermediario, dei sui servizi, dei rischi e dei costi dell’attività prestata.
Saprà soprattutto come si compone la struttura delle commissioni che pagherà (informativa ex – ante) e che ha effettiva- mente pagato (informativa ex post) e non dovrà interpretarla attraverso una semplice percentuale, ma avrà, scritto nero su bianco, il corrispondente ammontare in euro. Nell’auspicio del legislatore è che tale informativa con- sentirà al cliente di adottare scelte più consapevoli. Sicuramente risulterà più facile un confronto tra i diversi prodotti e servizi, seppur su un piano meramente numerico. Ciò che i numeri non saranno in grado di cogliere è certamente la capacità dell’intermediario di perseguire realmente gli interessi del cliente.
Alla lettura e all’analisi dei numeri, dovrebbe pertanto affiancarsi la valutazione degli aspetti qualitativi dell’intermediario che si integrano con quelli quantitativi. Disponibilità, chiarezza nel rapporto, capacità di perseguire effettivamente l’interesse mutevole del cliente sono solo alcuni degli elementi che il mero dato numerico non può esplicitare. La trasparenza sui costi imposta dalla MiFID II rischia di diventare un boomerang per gli intermediari, questo il concetto ricorrente negli interventi, nelle tavole rotonde e negli articoli di commento alla MiFID II. Per alcuni aspetti è un effetto reale, ma non il solo.
La trasparenza sui costi rischia infatti di diventare un boomerang anche per i clienti, se non comprenderanno che oltre a confrontare i costi dei diversi prodotti e servizi, è importante analizzare la qualità dell’intermediario e della sua attività approfondendo, talune volte anche testando, le modalità effettive di pre- stazione da parte della controparte e come vengono valutate le diverse opzioni possibili rispetto ai suoi obiettivi (es. un’offerta ad architettura aperta non può dirsi equivalente all’offerta di soli prodotti/servizi captive). La qualità della relazione, la solidità dell’intermediario, il suo approccio al cliente, il suo processo decisionale, i servizi accessori di cui potrà beneficiare, la capacità del personale di non essere, alla fine, un mero addetto alle vendite, sono elementi da valorizzare se si vogliono adottare scelte consapevoli.
L’investitore ha diritto a conoscere, giusto, indiscutibile. Tuttavia la tutela dell’investitore appare concretamente irrealizzabile in virtù della sola applicazione di norme e il proliferare di informazioni.
Non si discute il principio di salvaguardia dell’interesse pubblico perseguito dalle norme, quanto la concreta e riscontrabile realizzazione di tale salvaguardia. Nel concreto, servirebbe che l’investitore, oltre a disporre di un ampio set informativo, ne acquisisca consapevolmente i contenuti e, dove necessario, li integri. Una pretesa anch’essa al limite del realizzabile che dunque riversa sugli intermediari un’ulteriore responsabilità, ovvero quella di trasferire al cliente, indipendentemente dal dettato normativo, il valore dell’attività svolta, sottolineandone i profili tangibili e intangibili e gli elementi di differenziazione rispetto ai competitor. Diversamente, il futuro rischia di risolversi in un confronto, più o meno consapevole, meramente quantitativo, che porterà molti operatori, incolpevolmente dato il contesto, a restringere e semplificare la propria offerta più per ragioni di opportunità che per rispondere alle esigenze dei propri clienti.
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